domenica 17 gennaio 2016

La fragilità della vita nella vanitas con bicchieri di Sebastian Stosskopff al Musée des Beaux Arts di Strasburgo

Nonostante la grande varietà di forme che contraddistingue i recipienti per le bevande in epoca romana all’inizio del XV secolo, il bicchiere si presenta già con aspetto simile all'ordierno, come ad esempio il tipico cilindrico svasato verso l’alto. Per esso è usato il vetro e prevale nella produzione italiana. Nei paesi germanici e fiamminghi in questo stesso secolo è in voga il cosiddetto romer anch’esso di forma cilindrica ma contraddistinto da una decorazione a bugne o gocce applicate dall’esterno. Nel XVI secolo Venezia, testa di ponte fra Oriente e Occidente, diviene la capitale della produzione dei vetri e con essi dei bicchieri che assumono nuove forme. I bicchieri cilindrici si arricchiscono del piede, gli steli si allungano e si allargano le coppe. Il variare delle forme e delle decorazioni determina nella città lagunare un fenomeno di dimensioni europee: la manodopera emigra in Olanda in Germania in Spagna e in Francia così che il vetro facon de Venise si diffonde in tutta l’Europa. Nel Cinquecento viene introdotto anche il cristallo per la produzione più raffinata, il vetro colorato o inciso al diamante e nuove forme ispirate alla produzione antica come le crespine, piccole tazze dal bordo increspato o i bicchieri con alette nei quali il vetro assume l’aspetto di un vero merletto. Con la consueta ambivalenza del simbolo il bicchiere può essere portatore di allusione ai piaceri mondani o riferirsi al sangue di Cristo e ricordo della sua Passione(Mt. 26, 42). Come tale esso è simbolo della fede cristana spesso usato nelle allegorie della medesima. Un bicchiere è anche il calice liturgico più sviluppato in altezza dell'ordinario e spesso dotato di coperchio. In genere i calici sono eseguiti in materiali nobili e talora esotici che conferendo loro preziosità danno il giusto rilievo al contenuto. Connesso alla celebrazione eucaristica il calice è, nelle arti figurative, simbolo eucaristico.




Fra le nature morte di Sebastian Stosskopff, pittore alsaziano attivo nella prima metà del Seicento, c'è questo cesto di bicchieri conservato al Musée des Beaux Arts di Strasburgo. Si tratta chiaramente di una natura morta e come tale un'opera d'arte che dilettando lo spettatore con un efficace trompe l'oeil lo incuriosisce per poi guidarlo verso un diverso grado di comprensione dell'immagine. Stosskopff era un pittore di vanitas ovvero quelle nature morte il cui obbittivo primario era quello di ricordare allo spettatore la caducità della vita. A questo scopo venivano inseriti nell'immagine oggetti apparentemente fuori contesto come orologi o teschi che rimandassero al tempo che consuma inesorabile ogni cosa materiale corpo umano incluso.
Il soggetto di quest'opera, anch'essa una vanitas, è inconsueto: non è la solita composizione di frutta più o meno decomposta e nemmeno un breakfast piece, lo spuntino sospeso dei fiamminghi, qui sono protagonisti dei bicchieri di vetro disposti alla rinfusa in un cesto insieme ad altri in oro. Fuori dal cesto in primo piano si leggono due frammenti di bicchiere rotto e il coperchio metallico di uno di quelli del cesto. Simili calici metallici rimandano inequivocabilmente ai calici liturgici, i contenitori del sangue di Cristo nel rituale eucaristico, mentre i bicchieri di vetro di fattura raffinata sono contenitori adatti al prezioso vino rosè della mensa di qualche facoltoso mercante olandese. I due tipi di bicchieri evocano così i due volti del vino: emblema del piacere terreno quelli di vetro e simboli della fede quelli di metallo. Il bicchiere rotto però ci ricorda che le gioie della vita sono destinate a finire con la stessa fragile esistenza umana mentre il coperchio del calice ci invita forse a proteggere nella nostra anima eterna come l'oro il vino della fede. 

da S. Malaguzzi, Il Cibo e la Tavola, ELECTA (Dizionari dell’Arte), Milano 2006 e S. Malaguzzi, Arte e Vino, Dossier, "Art e Dossier", 268, Luglio-Agosto 2010. 

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