giovedì 29 ottobre 2015

Vertumno, il ritratto di Rodolfo II

Il gusto è la capacità che la natura ha dato all'uomo di percepire i sapori e con essi distinguere autonomamente ciò che nutre da ciò che nuoce alla salute. Lo stesso termine è usato in filosofia per designare la facoltà che permettere all'uomo di discernere il buono e il bello, la capacità individuale di apprezzare certe qualità umane della natura e dell'arte. Mi piace pensare che sia stata proprio l'ambiguità del termine gusto a determinare, oltre le iconografie specifiche e i filoni artistici, l'interesse di molti artisti per il cibo come oggetto meritevole di elaborazione pittorica. Di tutti gli alimenti raffigurati penso che il primato vada senz'altro alla frutta e alla verdura della quale voglio presentarvi qui, come incipit di questo blog, il Vertumno di Giuseppe Arcimboldo (conservato a Stoccolma nel castello di Skokloster).

Si tratta di una natura morta sui generis, un cosiddetto capriccio sullo stile inventato dal pittore milanese in un'epoca nella quale frutta e verdura non erano considerate degne di una raffigurazione autonoma. Ben presto, nel corso della sua carriera presso la corte asburgica, l'idea di combinare frutti e verdure in modo da comporre ritratti veri e propri diviene la sua cifra distintiva cosicché, a Rodolfo II, vera identità di Vertumno, non parve affatto irriverente l'essere presentato come un assemblaggio di alimenti ché anzi era a tutti chiaro l'intento celebrativo, considerato che Vertumno era una divinità pagana, protettrice dei giardini, degli orti e dei frutteti e abile nel travestimento agreste. 



Stacchiamoci per un attimo dalla lettura d'insieme dell'opera per analizzare le diverse qualità di frutta e verdura. Dall'alto verso il basso di distinguono: sotto una corona costituita da spighe di orzo e grano, uva, ciliegie, prugne, melagrana, ribes e olive, una melanzana e una pannocchia di granturco prende forma un volto composto da una zucca, piselli, nespole, giuggiole, pesche e mele, albicocche, nocciole nell'involucro e castagne ancora nel riccio. Sul collo vari generi di cucurbitacee e cipolle si confondono con le rape e l'aglio mentre le spalle sono costituite: la destra da cavolo e insalate e la sinistra da preziosi carciofi. Una ghirlanda di fiori simula una decorazione cavalleresca...dell'ordine del peperoncino rosso...visto che questa varietà si distingue sul petto di questo singolare imperatore.
Questa wunderkammer di naturalia commestibili accanto all'intento raggiungere un apice assoluto di bizzarria serviva da inventario visivo di questi generi che non potevano essere collezionati altrimenti perché deperibili. C'era poi l'obiettivo encomiastico che si non esprimeva solo nell'aver fatto vestire all'imperatore i panni di un dio ma nell'aver scelto generi di verdura e frutta che illustrano tutte e quattro le stagioni dell'anno proponendo l'Imperatore come il signore del tempo. La celebrazione non finisce qui! La pannocchia di mais e il peperoncino per noi scontati erano in quell'epoca prodotti di recente importazione dal Nuovo Mondo. Del primo sappiamo che giunse dall'America grazie a Cristoforo Colombo che nel suo giornale di bordo non manca di parlarne ma che cominciò ad essere impiegato solo più tardi in conseguenza della carestia determinata dalla guerra dei trent'anni. Il peperoncino invece giunge dalle Ande in un momento imprecisato del Cinquecento sempre ad opera dei conquistadores sebbene il medico Pier Andrea Matthioli nel suo erbario inserendolo fra le varietà del pepe lo chiami pepe cornuto d’India.
Così con questi dettagli alimentari Vertumno-Rodolfo II, celebrato come un dio pagano, è presentato come signore del tempo e dello spazio come si conviene a chi governa l'impero su cui il sole non tramontava mai.

da S. Malaguzzi, Il Cibo e la Tavola, ELECTA (Dizionari dell’Arte), Milano 2006 e S. Malaguzzi, Arte e Cibo, Dossier, "Art e Dossier", 300, giugno 2013.