lunedì 28 dicembre 2015

Una natura morta di Pieter Claesz : ricetta di vita cristiana



Nel XVI secolo Roma e i Paesi Bassi sono i centri propulsori del nuovo genere della natura morte con opere destinate ad una committenza privata. L’abilità del pittore si misurava qui nella capacità di selezionare gli oggetti, di comporli e di descriverli con accuratezza poiché quanto più erano fedeli alla realtà tanto più l’effetto trompe l’oeil raggiunto catalizzava l’attenzione. L’obiettivo primario era incuriosire e dilettare e tuttavia, nel realizzare di essere la vittima di un inganno, lo spettatore diveniva consapevole della fallibilità della sua percezione visiva e più in generale dei sensi. Così il pittore, seducendo, poteva educare.

 

E' il caso di questo dipinto di Pieter Claesz, una Natura morta con astice e aragosta (al Minneapolis Institute of Arts) ove un orologio, emblema dell'inesorabile scorrere del tempo, sancisce il tono didascalico di una composizione che altrimenti potrebbe sembrare di puro diletto. Leggiamo l'opera. I crostacei, prelibatezza marina destinata dall’epoca romana alle mense più facoltose, ci parlano dei costumi alimentari raffinati dell’Olanda mercantile come anche il piatto di porcellana, importato dalla Cina e il pane bianco. Dalla caduta dell’Impero romano d’occidente a tutto il Medioevo i contadini impiegavano cereali misti per un pane scuro e rustico mentre agli aristocratici e ai cittadini era riservato il bianco pane di grano. L’elevato tenore di vita del destinatario dell’opera è palese ma c'è molto altro. La tovaglia scomposta, il limone sbucciato in parte, e i due bicchieri non completamente pieni, segni tangibili di un pasto interrotto, alludono ad un passaggio umano.
I bicchieri ci permettono di immaginare due persone dai gusti diversi. Il roemer panciuto e stabile era usato per degustare il profumato vino bianco proveniente dalla Renania mentre l’affusolato passglass con le caratteristiche tacche era usato nelle osterie fiamminghe per comunitarie bevute di birra. L’uno descrive un consumatore esigente, forse una donna, e l’altro uno dai gusti più plebei e senz’altro di sesso maschile.
Possiamo immaginare i committenti come una coppia facoltosa e tuttavia la discreta presenza di un orologio d’oro ricorda ai destinatari come ogni piacere terreno sia destinato a finire. La decifrazione del rebus potrebbe concludersi qui senonché l’astice e l’aragosta, piatti forti di quel pasto interrotto, ancora intatti, sembrano indicare come i destinatari non abbiano ancora assaggiato la pietanza più appetitosa. La chiave escatologica permette l’inquadramento di quest’ultimo particolare suggerendo per l’intera immagine una lettura cristiana. Banditi dalla dieta ebraica, nell’esegesi biblica l’aragosta e il granchio, per la presunta abitudine di spogliarsi del vecchio involucro e rinnovare i loro gusci, sono simboli della Resurrezione. Così se il pane sbocconcellato indica che i committenti hanno già assaggiato il messaggio cristiano, di cui il pane è tradizionale simbolo, possono solo immaginare il sapore della Resurrezione perché ancora troppo giovani e vivi. In questa stessa chiave la presenza della birra accanto al vino eucaristico, è una preziosa indicazione sulla confessione dei committenti poiché prodotta e consumata perlopiù nei paesi protestanti, essa non è solo la bevanda nazionale degli olandesi ma è anche e soprattutto il simbolo della Chiesa riformata.

da S. Malaguzzi, Il Cibo e la Tavola, ELECTA (Dizionari dell’Arte), Milano 2006 e S. Malaguzzi, Arte e Cibo, Dossier, "Art e Dossier", 300, giugno 2013. 

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