lunedì 7 dicembre 2015

Ostriche e champagne di Jean-François de Troy al Musée Condé di Chantilly


Forse non tutti sanno che la fama delle ostriche come cibo afrodisiaco risale all'epoca romana.Anche i Greci ne facevano consumo...la pratica dell'ostracismo che consisteva nel votare l'espulsione di un cittadino scrivendone il nome sul guscio delle ostriche deriva proprio dalla consuetudini dei Greci di consumare i molluschi ed evidentemente di conservarne i gusci.

I Romani avevano escogitato una tecnica di allevamento descritta da Varrone che racconta infatti come un tale Sergio avesse intravisto la possibilità di lucrose speculazioni grazie alla costruzione di vivai di ostriche (De re rustica, III, 3. 10). Come oggi anche nella gastronomia romana le ostriche erano un cibo pregiato e venivano lavate con l’aceto e conservate in un vaso siglillato con la pece. L'idea che avessero un potere afrodisiaco va forse rintracciata nel simbolismo femminile della conchiglia già presente nella leggenda dell’ostrica perlifera narrata da Plinio secondo il quale la fecondazione del mitile perlifero avverrebbe infatti grazie alla rugiada penetrata attraverso le valve del guscio aperte volutamente dall’ostrica in certi periodi dell’anno (Naturalis historia IX, 107). Un racconto antropomorfico...beh, sta di fatto che questo racconto attraversa il Medioevo che lo carica di valori mariani e giunge al Rinascimento. Nel De honesta voluptate et valetitudine (lib. x, cap. 366)Bartolomeo Platina, bibliotecario del papa, racconta dei poteri afrodisiaci delle ostriche. In Francia, in Inghilterra e in Olanda ma anche in Italia le ostriche erano pescate dai banchi naturali e rappresentavano un alimento comune nella gastronomia medievale e poi rinascimentale. In tutta Europa la persistenza di quest'alimento nelle abitudini gastronomiche si associa ai concetti ad esso attribuiti. E' il caso di questo animato dipinto di Francois de Troy, datata 1735 e commissionata dal re (Luigi XV) per la sala da pranzo degli appartamenti privati a Versailles.  


In un ambiente affrescato a quadrature architettoniche e sculture di bronzo, libera citazione della magnificenza di Versailles, un gruppo di nobiluomini, in un clima di scomposta allegria, consuma un banchetto il cui piatto forte è costituito da ostriche in quantità. I gusci in terra fuoriusciti da un contenitore riservato ai rifiuti sottolineano il disordine e l'atmosfera di euforia etilica che i servitori non riescono a contenere. Uno dei camerieri a terra accanto ad una tinozza lava le stoviglie d'argento sorvegliato dal nobiluomo che con l'indice gli fa notare un piatto di portata in attesa di essere asciugato e prontamente riutilizzato. E' simile a quello gremito di ostriche che un altro servitore sta recando a tavola. Con le ostriche corrono fiumi di champagne. A sinistra un banchettante ha appena tagliato la capsula, il tappo è saltato mentre alcuni con aria divertita, alzano gli occhi per seguirne la traiettoria. Altri versano e bevono. In primo piano la scorta di bottiglie immerse nel ghiaccio del tavolo di servizio, promette ripetuti brindisi. La statua di Venere che osserva la scena dalla nicchia dipinta sopra il tavolo non è solo una decorazione ma una vera dichiarazione programmatica che annunciando le intenzioni di quel maschile convito ci fa ipotizzare che i nostri aristocratici personaggi, ebbri di champagne e con i sensi risvegliati dalle ostriche, cercheranno presto un epilogo erotico al loro banchetto.
Quest'opera è un vero manifesto di quello spirito: raffinato, edonistico e libertino che si identifica, nell'immaginario collettivo con la Francia stessa.
Si radica nel Settecento quest'idea moderna della Francia, e certo De Troy (un allievo del più noto Antoine Watteau) ne è un interprete fedele. Francesi sono le ostriche di Bretagna che tutt'ora si trovano nei mercati e nei chioschi delle strade di Parigi ma soprattutto è gloria francese lo champagne nato per caso dalla fermentazione del vino dell'abbazia di Hautvilliers e divenuto, nella seconda metà del Seicento, la bevanda d'elite creata dall'abate Dom Pierre Perignon.


da S. Malaguzzi, Il Cibo e la Tavola, ELECTA (Dizionari dell’Arte), Milano 2006 e S. Malaguzzi, Arte e Cibo, Dossier, "Art e Dossier", 300, giugno 2013. 

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