Forse non tutti sanno che
la fama delle ostriche come cibo afrodisiaco risale all'epoca
romana.Anche i Greci ne facevano consumo...la pratica dell'ostracismo
che consisteva nel votare l'espulsione di un cittadino scrivendone il
nome sul guscio delle ostriche deriva proprio dalla consuetudini dei
Greci di consumare i molluschi ed evidentemente di conservarne i
gusci.
I
Romani avevano escogitato una tecnica di allevamento descritta da
Varrone che racconta infatti come un tale Sergio avesse intravisto la
possibilità di lucrose speculazioni grazie alla costruzione di vivai
di ostriche (De re rustica, III, 3. 10). Come oggi anche nella
gastronomia romana le ostriche erano un cibo pregiato e venivano
lavate con l’aceto e conservate in un vaso siglillato con la pece.
L'idea che avessero un potere afrodisiaco va forse rintracciata nel
simbolismo femminile della conchiglia già presente nella leggenda
dell’ostrica perlifera narrata da Plinio secondo il quale la
fecondazione del mitile perlifero avverrebbe infatti grazie alla
rugiada penetrata attraverso le valve del guscio aperte volutamente
dall’ostrica in certi periodi dell’anno (Naturalis historia IX,
107). Un racconto antropomorfico...beh, sta di fatto che questo
racconto attraversa il Medioevo che lo carica di valori mariani e
giunge al Rinascimento. Nel De honesta voluptate et valetitudine
(lib. x, cap. 366)Bartolomeo Platina, bibliotecario del papa,
racconta dei poteri afrodisiaci delle ostriche. In Francia, in
Inghilterra e in Olanda ma anche in Italia le ostriche erano pescate
dai banchi naturali e rappresentavano un alimento comune nella
gastronomia medievale e poi rinascimentale. In tutta Europa la
persistenza di quest'alimento nelle abitudini gastronomiche si
associa ai concetti ad esso attribuiti. E' il caso di questo animato
dipinto di Francois de Troy, datata 1735 e commissionata dal re
(Luigi XV) per la sala da pranzo degli appartamenti privati a
Versailles.
In
un ambiente affrescato a quadrature architettoniche e sculture di
bronzo, libera citazione della magnificenza di Versailles, un gruppo
di nobiluomini, in un clima di scomposta allegria, consuma un
banchetto il cui piatto forte è costituito da ostriche in quantità.
I gusci in terra fuoriusciti da un contenitore riservato ai rifiuti
sottolineano il disordine e l'atmosfera di euforia etilica che i
servitori non riescono a contenere. Uno dei camerieri a terra
accanto ad una tinozza lava le stoviglie d'argento sorvegliato dal
nobiluomo che con l'indice gli fa notare un piatto di portata in
attesa di essere asciugato e prontamente riutilizzato. E' simile a
quello gremito di ostriche che un altro servitore sta recando a
tavola. Con le ostriche corrono fiumi di champagne. A sinistra un
banchettante ha appena tagliato la capsula, il tappo è saltato
mentre alcuni con aria divertita, alzano gli occhi per seguirne la
traiettoria. Altri versano e bevono. In primo piano la scorta di
bottiglie immerse nel ghiaccio del tavolo di servizio, promette
ripetuti brindisi. La statua di Venere che osserva la scena dalla
nicchia dipinta sopra il tavolo non è solo una decorazione ma una
vera dichiarazione programmatica che annunciando le intenzioni di
quel maschile convito ci fa ipotizzare che i nostri aristocratici
personaggi, ebbri di champagne e con i sensi risvegliati dalle
ostriche, cercheranno presto un epilogo erotico al loro banchetto.
Quest'opera
è un vero manifesto di quello spirito: raffinato, edonistico e
libertino che si identifica, nell'immaginario collettivo con la
Francia stessa.
Si
radica nel Settecento quest'idea moderna della Francia, e certo De
Troy (un allievo del più noto Antoine Watteau) ne è un interprete
fedele. Francesi sono le ostriche di Bretagna che tutt'ora si trovano
nei mercati e nei chioschi delle strade di Parigi ma soprattutto è
gloria francese lo champagne nato per caso dalla fermentazione del
vino dell'abbazia di Hautvilliers e divenuto, nella seconda metà del
Seicento, la bevanda d'elite creata dall'abate Dom Pierre Perignon.
da S. Malaguzzi, Il Cibo e la Tavola, ELECTA (Dizionari dell’Arte), Milano 2006 e S. Malaguzzi, Arte e Cibo, Dossier, "Art e Dossier", 300, giugno 2013.
Nessun commento:
Posta un commento