Il
gusto è la capacità che la natura ha dato all'uomo di percepire i
sapori e con essi distinguere autonomamente ciò che nutre da ciò
che nuoce alla salute. Lo stesso termine è usato in filosofia per
designare la facoltà che permettere all'uomo di discernere il buono
e il bello, la capacità individuale di apprezzare certe qualità
umane della natura e dell'arte. Mi piace pensare che sia stata
proprio l'ambiguità del termine gusto a determinare, oltre le
iconografie specifiche e i filoni artistici, l'interesse di molti
artisti per il cibo come oggetto meritevole di elaborazione
pittorica. Di tutti gli alimenti raffigurati penso che il primato
vada senz'altro alla frutta e alla verdura della quale voglio
presentarvi qui, come incipit di questo blog, il Vertumno di Giuseppe
Arcimboldo (conservato a Stoccolma nel castello di Skokloster).
Si
tratta di una natura morta sui generis, un cosiddetto capriccio sullo
stile inventato dal pittore milanese in un'epoca nella quale frutta e
verdura non erano considerate degne di una raffigurazione autonoma.
Ben presto, nel corso della sua carriera presso la corte asburgica,
l'idea di combinare frutti e verdure in modo da comporre ritratti
veri e propri diviene la sua cifra distintiva cosicché, a Rodolfo
II, vera identità di Vertumno, non parve affatto irriverente
l'essere presentato come un assemblaggio di alimenti ché anzi era a
tutti chiaro l'intento celebrativo, considerato che Vertumno era una
divinità pagana, protettrice dei giardini, degli orti e dei frutteti
e abile nel travestimento agreste.
Stacchiamoci per un attimo
dalla lettura d'insieme dell'opera per analizzare le diverse qualità
di frutta e verdura. Dall'alto verso il basso di distinguono: sotto
una corona costituita da spighe di orzo e grano, uva, ciliegie,
prugne, melagrana, ribes e olive, una melanzana e una pannocchia di
granturco prende forma un volto composto da una zucca, piselli,
nespole, giuggiole, pesche e mele, albicocche, nocciole
nell'involucro e castagne ancora nel riccio. Sul collo vari generi di
cucurbitacee e cipolle si confondono con le rape e l'aglio mentre le
spalle sono costituite: la destra da cavolo e insalate e la sinistra
da preziosi carciofi. Una ghirlanda di fiori simula una decorazione
cavalleresca...dell'ordine del peperoncino rosso...visto che questa
varietà si distingue sul petto di questo singolare imperatore.
Questa
wunderkammer di naturalia commestibili accanto all'intento
raggiungere un apice assoluto di bizzarria serviva da inventario
visivo di questi generi che non potevano essere collezionati
altrimenti perché deperibili. C'era poi l'obiettivo encomiastico che
si non esprimeva solo nell'aver fatto vestire all'imperatore i panni
di un dio ma nell'aver scelto generi di verdura e frutta che
illustrano tutte e quattro le stagioni dell'anno proponendo
l'Imperatore come il signore del tempo. La celebrazione non finisce
qui! La pannocchia di mais e il peperoncino per noi scontati erano in
quell'epoca prodotti di recente importazione dal Nuovo Mondo. Del
primo sappiamo che giunse dall'America grazie a Cristoforo Colombo
che nel suo giornale di bordo non manca di parlarne ma che cominciò
ad essere impiegato solo più tardi in conseguenza della carestia
determinata dalla guerra dei trent'anni. Il peperoncino invece giunge
dalle Ande in un momento imprecisato del Cinquecento sempre ad opera
dei conquistadores sebbene il medico Pier Andrea Matthioli nel suo
erbario inserendolo fra le varietà del pepe lo chiami pepe cornuto
d’India.
Così
con questi dettagli alimentari Vertumno-Rodolfo II, celebrato come un
dio pagano, è presentato come signore del tempo e dello spazio come
si conviene a chi governa l'impero su cui il sole non tramontava mai.
da S. Malaguzzi, Il Cibo e la Tavola, ELECTA (Dizionari dell’Arte), Milano 2006 e S. Malaguzzi, Arte e Cibo, Dossier, "Art e Dossier", 300, giugno 2013.
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