Nonostante
la grande varietà di forme che contraddistingue i recipienti per le
bevande in epoca romana all’inizio del XV secolo, il bicchiere si
presenta già con aspetto simile all'ordierno, come ad esempio il
tipico cilindrico svasato verso l’alto. Per esso è usato il vetro
e prevale nella produzione italiana. Nei paesi germanici e fiamminghi
in questo stesso secolo è in voga il cosiddetto romer anch’esso di
forma cilindrica ma contraddistinto da una decorazione a bugne o
gocce applicate dall’esterno. Nel XVI secolo Venezia, testa di
ponte fra Oriente e Occidente, diviene la capitale della produzione
dei vetri e con essi dei bicchieri che assumono nuove forme. I
bicchieri cilindrici si arricchiscono del piede, gli steli si
allungano e si allargano le coppe. Il variare delle forme e delle
decorazioni determina nella città lagunare un fenomeno di dimensioni
europee: la manodopera emigra in Olanda in Germania in Spagna e in
Francia così che il vetro facon de Venise si diffonde in tutta
l’Europa. Nel Cinquecento viene introdotto anche il cristallo per
la produzione più raffinata, il vetro colorato o inciso al diamante
e nuove forme ispirate alla produzione antica come le crespine,
piccole tazze dal bordo increspato o i bicchieri con alette nei quali
il vetro assume l’aspetto di un vero merletto. Con la consueta
ambivalenza del simbolo il bicchiere può essere portatore di
allusione ai piaceri mondani o riferirsi al sangue di Cristo e
ricordo della sua Passione(Mt. 26, 42). Come tale esso è simbolo
della fede cristana spesso usato nelle allegorie della medesima. Un
bicchiere è anche il calice liturgico più sviluppato in altezza
dell'ordinario e spesso dotato di coperchio. In genere i calici sono
eseguiti in materiali nobili e talora esotici che conferendo loro
preziosità danno il giusto rilievo al contenuto. Connesso alla
celebrazione eucaristica il calice è, nelle arti figurative, simbolo
eucaristico.
Fra
le nature morte di Sebastian Stosskopff, pittore alsaziano attivo
nella prima metà del Seicento, c'è questo cesto di bicchieri
conservato al Musée des Beaux Arts di
Strasburgo. Si tratta chiaramente di una natura morta e come
tale un'opera d'arte che dilettando
lo spettatore con un efficace trompe l'oeil lo incuriosisce per poi
guidarlo verso un diverso grado di comprensione dell'immagine.
Stosskopff era un pittore di vanitas ovvero quelle nature morte il
cui obbittivo primario era quello di ricordare allo spettatore la
caducità della vita. A questo scopo venivano inseriti nell'immagine
oggetti apparentemente fuori contesto come orologi o teschi che
rimandassero al tempo che consuma inesorabile ogni cosa materiale
corpo umano incluso.
Il
soggetto di quest'opera, anch'essa una vanitas, è inconsueto: non è
la solita composizione di frutta più o meno decomposta e nemmeno un
breakfast piece, lo spuntino sospeso dei fiamminghi, qui sono
protagonisti dei bicchieri di vetro disposti alla rinfusa in un cesto
insieme ad altri in oro. Fuori dal cesto in primo piano si leggono
due frammenti di bicchiere rotto e il coperchio metallico di uno di
quelli del cesto. Simili calici metallici rimandano
inequivocabilmente ai calici liturgici, i contenitori del sangue di
Cristo nel rituale eucaristico, mentre i bicchieri di vetro di
fattura raffinata sono contenitori adatti al prezioso vino rosè
della mensa di qualche facoltoso mercante olandese. I due tipi di
bicchieri evocano così i due volti del vino: emblema del piacere
terreno quelli di vetro e simboli della fede quelli di metallo. Il
bicchiere rotto però ci ricorda che le gioie della vita sono
destinate a finire con la stessa fragile esistenza umana mentre il
coperchio del calice ci invita forse a proteggere nella nostra anima
eterna come l'oro il vino della fede.
da S. Malaguzzi, Il Cibo e la Tavola, ELECTA (Dizionari dell’Arte), Milano 2006 e S. Malaguzzi, Arte e Vino, Dossier, "Art e Dossier", 268, Luglio-Agosto 2010.
da S. Malaguzzi, Il Cibo e la Tavola, ELECTA (Dizionari dell’Arte), Milano 2006 e S. Malaguzzi, Arte e Vino, Dossier, "Art e Dossier", 268, Luglio-Agosto 2010.